mercoledì 7 maggio 2008

Verso l'Inferno e oltre



La ragione migliore per cui sono convinto che i miti religiosi abbiano tutto sommato un fondo di verità deriva dalla pura e semplice osservazione del reale; l'inferno è probabilmente l'esempio più eclatante.

L'antico greco che inventò per primo il regno delle ombre, dove le anime dei defunti passano l'eternità a grattarsi le palle, doveva risiedere in un corrispettivo ellenico della brianza lombarda, dove il paesaggio migliore lo offrono le fabbriche di cessi in ceramica e il divertimento serale più gettonato è il ballo della macarena con le zanzare tigre.
Nella concezione occidentale, l'inferno è un qualcosa di ineluttabile e di inevitabile, un osceno brulicare di corpi e incessante biascichio di immonde bestemmie; un cupo, rovente percorso dove il supplizio è eterno e la via di uscita, ammesso che ci sia, non esiste.

Sì. L'avete capito.

Sto parlando del rientro dalle vacanze.

Ritorno dal ponte del primo maggio. Reduci da cinque giorni di bioritmi composti da sonno-cibo-sonno-cibo. Alle undici di mattina del 4 maggio saliamo in macchina.
Il mio stomaco sta ancora lottando contro il cinghiale alla cacciatora e il pesce in salsa verde del giorno prima; se la Borsa fosse aperta, il titolo della Bicarbonato Solvay Spa sarebbe stato sospeso per eccesso di rialzo.
Tragitto: Alto Lazio-Milano, Autostrada del Sole.
Un nanosecondo dopo aver passato il casello ci accorgiamo che le partenze intelligenti non sono nostra prerogativa.
Simpatici tabelloni elettronici sopra le nostre testine indicano:
Arezzo 74'
Firenze 99'
Per un attimo speriamo siano i risultati di una partita di basket e non i minuti da trascorrere nel carnaio.

Mezz'ora dopo ci accorgiamo che la teoria della relatività di Einstein è assolutamente vera; l'amico cartellone informativo ora indica:
Firenze 98'

E poi:
Firenze 120'

Un'illuminazione, lampante, newtoniana, pervade le nostre menti: il viaggio nel tempo, concludiamo, è possibile.
Peccato non averlo capito spaparanzati all'ombra di un melo.

Le scatole di sardine a quattro ruote arrancano lentamente nel traffico: imbottigliati come siamo, non c'è modo di andare più lenti se non con la retromarcia. Mani frenetiche osservano la cartina in cerca di una via d'uscita, un modo per evitare l'immaginario Caronte che ci traghetterà nel girone dei vacanzieri della domenica da qui a Firenze Sud.
All'improvviso, l'idea:
"Usciamo ad Incisa, facciamo la statale, mangiamo e rientriamo dopo Firenze".

Un gioioso coro di esultanza accompagna la geniale proposta.

Uscita a Incisa, una affettuosa pernacchia per coloro che restano e via per i colli toscani, alla ricerca di una via di uscita e, soprattutto, di un bar aperto.
Fortunatamente, potenza di Sky, un bar di uno sperduto paesino è aperto in occasione di Fiorentina-Cagliari; entriamo e mentre il gestore sviene dalla felicità nel vedere entrare una dozzina di clienti spendaccioni, mi rendo conto del perchè per strada non abbiamo incontrato nessuno; un'ordinata accozzaglia di paesani aspetta in religioso silenzio il calcio di inizio.
Ce ne andiamo giusto in tempo per vedere il gol del Cagliari seguito dall'allegra orgia di improperi degli over 60 presenti, rigorosamente in toscano stretto.
"Da dove rientriamo in autostrada?"
"Mah, sulla mappa vedo Barberino del Mugello..."

Alle ultime tre parole, avverto un fremito compulsivo, l'inizio di una crisi epilettica, un tic nervoso all'occhio sinistro e un sobbalzo allo stomaco causato dal panino pomodoro e mozzarella appena ingurgitato.
La ragione è che esistono alcuni luoghi che mezza Italia conosce pur non essendoci mai stata, pur abitando a chilometri e chilometri di distanza.

In primis ci sono i paesi in cui si è consumato qualche massacrostupromicidioplurimolestiabusodiminorepestaggio abbastanza splatter e nazionalpopolare da meritarsi l'intervista strappalacrime ai genitori della vittima dell'edizione pomeridiana di Studio Aperto e una puntata di Porta A Porta con plastico del luogo del delitto e psicologo in studio: è il caso di Cogne, Erba, Gravina, Novi Ligure.

Immediatamente dopo, ci sono le località di Isoradio: posti come Lagonegro, Roncobilaccio e Barberino del Mugello hanno una sola cosa in comune.
Figurano tutti sullo Zanichelli come sinonimi di "coda", "rallentamento", "incidente".

"...forse è meglio prendere quella dopo"

Sospiro di sollievo generale.

Sulla carta sono trenta chilometri in più di statale: imbocchiamo la via, fiduciosi di aver fatto la scelta giusta.

Almeno fino a quando un ammasso collinare che non sarebbe dovuto esiste ci si para innanzi.
Un po' meno spavaldi iniziamo la salita. Guido, un napoletano tifoso dell'Inter, ascolta trepidante la telecronaca del Derby, mentre un vecchietto davanti a noi abbraccia ad un tratto la filosofia del risparmio energetico e affronta la strada alla spaventosa velocità dei venti all'ora. Mentre proseguiamo, ogni tanto il segnale radio si interrompe e Guido ci regala amorevoli espressioni tipicamente partenopee.
Arrivati in cima al colle c'è un ristorante affollato da bikers; vedendoci arrivare dietro all'ecologista over 75, pensano a una cerimonia funebre e all'unisono poggiano i caschi sul petto.

I cartelli stradali risultano incredibilimente discordi tra loro; l'ipotesi più plausibile resta quella di un intervento degli spiritelli del bosco.
Ale ha completamente perso le speranze di vedere la finale di eurolega di basket e minaccia di accoltellarmi selvaggemente sostenendo che gliel'ho gufata il giorno prima.

Il problema è che era vero.

Attraversata per la terza volta la collina degli Hell's Angels, la radio annuncia l'ultima azione prima della fine del Derby: calcio di punizione a favore dell'Inter, ultima occasione per pareggiare.
In quel preciso momento, senza alcun preavviso, Nilla Pizzi occupa prepotentemente l'etere. Un'esplosione di epiteti napoletani fuoriesce dall'autovettura.

I nostri cervelli, una cartina stradale, un TomTom che nessuno sa usare e qualche indicazione chiesta qua e là fanno il miracolo. Dopo tre ore dalla nostra brillante decisione rientriamo nel girone degli automobilisti.

Mentre ci crogiuoliamo agli ultimi sprazzi di sole, osserviamo i nostri vicini di coda.
Pippi Calzelunghe ci osserva da un camper guidato da una coppia di genitori sull'orlo di un raptus omicida che nemmeno la Franzoni. Ci mostra dei fogli di carta; leggiamo:
"Ciao!"
"Noi andiamo al lago di Como"
"Voi dove andate?"
Mentre Enrico si sbraccia con atteggiamento scimmiesco nel tentativo di farle conoscere la nostra destinazione, non faccio a meno di notare che Pippi Calzelunghe è probabilmente l'unica persona, nel raggio di cento chilometri, che non sia incazzata, intristita, in preda al collasso respiratorio, schizofrenica, in sovraproduzione di adrenalina o con la vescica grande come la vasca idromassaggio di Paris Hilton.

Spaventoso è il numero di managerini in giacca e cravatta in Mercedes; in un raro momento di traffico scorrevole uno di loro, mentre parla senza auricolare al telefonino con il "centro massaggi" per fissare un appuntamento "di lavoro" per il giorno dopo, ci si piazza a tre centimetri dal culo e inizia a lampeggiare coi fari.
Lanciando improperi cerco la doppietta nel cassetto del cruscotto; mi ricordo che questa non è la mia macchina. Sarà per un'altra volta. Mentalmente mi segno il numero di targa, lancio un'occhiata truce dallo specchietto ad Aziendaman e mi sposto sulla destra.
Chissà che non lo ribecchi, un giorno o l'altro.

Suona un cellulare; un breve scambio di parole e poi la fatidica decisione:
"Ci fermiamo un secondo in autogrill"

Ora, voi capirete bene che, per una comitiva di una dozzina di amici cazzari che si ferma in un'area di servizio alle otto e mezza di sera in un'autostrada affollata peggio della spiaggia di Rimini a Ferragosto, la parola "un secondo" è totalmente priva di significato.
E' come la mogliettina fashion che rientra a casa dallo shopping con un tir di pacchetti e pacchettini esclamando "Ho comprato giusto qualcosina...".

La sede distaccata del girone degli iracondi ci si para innanzi.
Una signora mormora all'amica:
"La fila per il bagno inizia già dalle scale"
E, per quanto gli stereotipi femminili abbiano un fondo di verità, non credo siano tutte lì per fare compagnia alla prima.

Tutto sommato però, la situazione non mi dispiace; posti come gli autogrill o l'Esselunga la domenica pomeriggio sono i posti migliori per osservare l'umanità più disparata, la parte più verace di italianità.
Mi aggiro per il parcheggio, sentendomi molto l'antropologo che studia gli indigeni della foresta amazzonica.
Dietro di me la Cugina di Platinette e la Copia di Zio Fester in Salsa Pugliese scendono dall'auto; Cugina di Platinette non fa altro che biascicare inacidita parole al marito, lamentandosi del viaggio. Zio Fester annuisce in silenzio in un misto di spossatezza e rassegnazione; se potesse la strozzerebbe.
Poco più in là, vedo in azione la Famiglia Mulino Bianco; il padre è andato al bar ad affrontare la bolgia per bersi un caffè, la madre resta a far la guardia ai mocciosi scalcianti. Mancano solo i latrati del cane perchè l'idillio sia completo.
Sulle scalinate dell'entrata, tre tamarri con in bocca tre sigarette a testa fanno pendant con il cestino della spazzatura "rispetta l'ambiente"; non c'è dubbio che sto avvicinandomi a casa.
Interrompo il mio studio per sparare cazzate con la combriccola. Risaliamo in macchina. Ripartiamo.

Alle dieci e mezza di sera, arriviamo finalmente a Milano. Ale mi scarica dall'auto e parte a tutto gas per vedersi la registrazione della finale di Eurolega; io, col mio mastodontico zaino sulle spalle, attendo l'arrivo del tram un po' come l'apparizione taumaturgica della Madonna.

Plic.
Ploc.
Plic.

Gocce.
Pioggia.

Bentornato a casa.



1 commento:

  1. minchia. è la prima volta che rido leggendo un blog.
    scrivi bene, cavolo.

    RispondiElimina

Se hai qualcosa di abbastanza puerile, faceto e privo di senso da dire, accomodati.